Week end sui colli bolognesi con Pupi Avati

in Dicono di noi » web, 15 Ottobre 2018

Con i consigli di Pupi Avati, con qualche storia di Alessandro Haber, i suggerimenti di Saul Nanni, abbiamo fatto un giro verso gli Appennini per scoprire un paese medioevale che non è sulle mappe, un castello magico di un moderno «stregone» e un ristorante per lasagne e crescentine.

La pianura padana è una pianura seria e senza scampo, con il sole che sorge dalla terra, fa il giro del cielo, e tramonta su altra terra. Un passaggio ipnotico che noi ci godiamo seduti a bere lambrusco nell’aia del Borgo dei Casoni nella Bassa bolognese. Siamo tra gli ultimi ospiti – quelli che non se ne vanno se non alla fine – della festa per il 50esimo anno dal primo ciak di Pupi e Antonio Avati. Il loro cinema, le loro storia, le atmosfere, le fotografie: è cominciato tutto qui, in questa campagna che sembra sempre fedele a se stessa, solida e presente, la normalità che diventa eccezione.

«Ambientare i nostri film qui – dice Antonio Avati – all’inizio è stato necessità. Conoscevamo il territorio, le persone. Poi è diventato un segno, uno stile». Così nei loro film c’è Bologna, e poi questi paesi, Budrio, Cento, Zola Predosa, per poi spingersi a sud, verso l’Appennino. «Le radici del nostro cinema sono molto innestate nella profondità della cultura contadina, la mia famiglia è di Sasso Marconi», mi ha detto Pupi. Ma anche a Alessandro Haber, alla festa, mi ha raccontato delle memorie estive in questa campagna, a casa dei nonni a Vado di Setta, delle crescentine con i salumi che non puoi smettere di mangiare e di una storia macabra di coniglietti. Cose da ripensarci di notte, ma anche quei ricordi portavano agli Appennini. Ho chiesto anche a Saul Nanni, il giovan(issimo) interprete dell’ultimo film di Avati Il furore di Dony. E mi ha parlato di un chiosco sui colli appena fuori Bologna.

Metto tutto insieme, con i consigli di Cesare Bastelli, aiuto regista e direttore della fotografia di molti film di Pupi, e non ho dubbi sul mio weekend: passo dal chiosco di Saul Nanni, e poi vado verso gli Appennini mangiando crescentine fino al posto di cui Pupi mi ha detto: «È il posto più magico di tutta la zona, costruito da un pazzo, il conte Mattei».

ANDIAMO AI COLLI

La mattina dopo imbocchiamo la via dei colli e in dieci minuti siamo in un altro mondo. È la rivoluzione delle alte terre, tutto cambia e tutto è possibile. La città? E chi se la ricorda più, sembra lontana mille miglia anche se è lì alla spalle. Vigne, colline arate, boschi e parchi. Vorrei fare colazione con crescentine squacquerone e caffè ma il chiosco che diceva Saul al Parco Cavaioni è chiuso (secondo me è un posto perfetto per bigiare) e il posto che mi hanno nominato tutti per mangiare le crescentine, l’Osteria del Nonno, beh non le fa la alle otto del mattino.

A Sasso Marconi beviamo il caffè in piazza con una raviola con mostarda e partiamo verso la Rocchetta Mattei, il posto costruito dal conte. Chiediamo informazioni: «Dice per il castello?», mi dicono, io penso «esagerati», poi arrivo davanti alla Rocca e cambio idea. E capisco perché Pupi Avati ha ambientato qui il suo primo film, Balsamus, l’uomo di Satana. Sì, un film del terrore.

LA ROCCHETTA MATTEI

La Rocchetta di Grizzana Morandi è un posto assurdo, un castello moresco, con torri, porte ogivali, mosaici, cortili colonnati. Chi era il «pazzo» che nella provincia bolognese ha costruito questo posto? Sicuramente un sognatore.

Cesare Mattei, nato nel 1809, già deputato, dopo la morte della madre curata con la medicina ufficiale decise di studiare una «nuova medicina». Nel 1850 comprò il rudere di un castello, lo demolì, scavò dentro la roccia, fino ad arrivare all’energia della terra, e lì ricostruì questo assurdo posto che sembra la rappresentazione del proprio inconscio: un mondo di stanze, di scale arrotolate sulla forma di un rampicante, statue di grifoni e altri rapaci, torrette con soffitti alla «Escher» di archi incrociati. Poi, fatto il castello, fece il castellano, con tanto di corte e buffone. E iniziò a sperimentare la sua elettromeopatia con ricette di erbe e medicamenti unici.

Come fece non si sa, ma il suo metodo divenne così famoso nel mondo che aprì centinaia di magazzini, uno anche ad Haiti (!). Così famoso che venne qui, proprio qui, in questo paesino tra gli Appennini, lo zar di Russia per farsi curare. Così famoso che il diavolo nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij disse che si curò con «un libro e delle pillole di Mattei».

La Rocchetta è decisamente un posto bizzarro. «C’è un’energia positiva», dice Debora, la nostra guida, ma poi ci dice anche «Il mio compagno non ci vuole venire nemmeno dipinto, gli fa paura». A voi il giudizio. Noi nel frattempo abbiamo scucito a Debora l’indirizzo giusto per la crescentina e anche il nome di un paese, che non conosce nessuno, ma è bellissimo.

IL PAESE CHE NON È SU INSTAGRAM

Abbiamo raggiunto il paese medioevale di La Scola seguendo Debora per strade insospettabili, sterrate, tra i boschi, su e giù per le colline, puntando verso una montagna rocciosa bellissima. Il paese lo si gira in pochi minuti a piedi che bastano a capire che è la perfezione. Poche case in pietra su una piccola collina stretta tra le altre, poi stradine di sassi e lastricato, archi, un forno pubblico con scolpiti volti beneauguranti dai Maestri comacini, una chiesetta, una veranda con la vite. È esattamente così come era, e probabilmente come è sempre stato, tanto che ti chiedi cose tipo «Ma qui nel Medioevo c’è la macchinetta del caffè? E internet?». Di certo la scoperta è che se vuoi postare una foto su Instagram (e vuoi), non troverai “La Scola” tra i luoghi della App. Miracolo!

Però ci sono ben 25 abitanti ufficiali (ma meno di 10 che ci risiedono sempre), c’è un bnb, e c’è un’Associazione che ti accompagna a fare un giro e a conoscere a storia del posto. Poi in un’altra frazione di Grizzana, poco distante, al ristorante Al Paladein di Campolo mangiamo – finalmente – la tanto sospirata crescentina, gnocco fritto nello strutto, bollente e croccante, da mangiare insieme a tigelle soffici e morbide con un tagliere di crudo-mortadella-culatello. Fine

COME ANDARCI

Le prime colline sono veramente a un passo dalla città, e per chi a Bologna vuole prendersi anche solo una mattinata e un pranzo tra i colli, sono tantissime le trattorie pronte a ospitarvi. All’Osteria del Nonno si mangiano crescentine e primi piatti; a Sasso Marconi, sulla strada verso gli Appennini, Re Lasagna è una gastronomia-ristorante cult (anche solo per il nome) per il piatto più amato; per un pranzo/cena gourmand, Da Amerigo ha una stella Michelin. Ma il nostro posto preferito è senza dubbio Al Paladein, ristorante pizzeria a Campolo: solo arrivarci è un viaggio slow nel tempo, nel cuore degli Appennini, sotto una montagne verde e rocciosa in un’atmosfera meravigliosa (e molto «avatiana»). Anche solo l’antipasto vale il viaggio.

Prima o dopo passate dalla Rocchetta Mattei a Grizzana Morandi, è un posto unico nel panorama locale e racconta di un sogno. Le visite guidate si prenotano online. Come suggerisce il nome del paese è qui che lavorò il pittore bolognese Giorgio Morandi, e il suo studio è visitabile (si prenota telefonando allo 051 6730311). Alla frazione Riola di Grizzana Morandi vale la pena di vedere la chiesa di Santa Maria Assunta, progettata tra il 1975 ed il 1980 dall’architetto finlandese Alvar Aalto.

Il paese di La Scola, a 10 minuti di auto da Grizzana, ma non saremmo sicuri di ritrovarlo, è assolutamente suggestivo. L’associazione locale SCULCA (tel. 347 4673828) è il punto di riferimento per ogni informazione e per i tour guidati, un modo per scoprire qualcosa in più e per tenere vive iniziative come queste.